Il segreto della pittura fotografica di Caravaggio

Caravaggio, per il rivoluzionario utilizzo della luce o la composizione dei suoi quadri, è considerato da molti l’inventore della fotografia.

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Il segreto della sua maestria tecnologica è svelato da una studiosa italiana, Roberta Lapucci, docente al SACI – Studio Arts College International di Firenze.

Un’enorme camera oscura

La dottoressa Lapucci ipotizza che Caravaggio avesse trasformato il suo studio in un’enorme camera oscura, nella quale sistemava i suoi modelli. Quindi li illuminava attraverso un foro nel soffitto da cui lasciava filtrare la luce.

La loro immagine veniva poi proiettata su tela attraverso una lente e uno specchio. La preponderanza di soggetti mancini nei suoi dipinti è la conferma che le figure venissero riprodotte al contrario.

Per esempio, il Bacco degli Uffizi sembrerebbe dimostrare in modo evidente l’uso di lenti e specchi in quanto tiene il  bicchiere con la mano sinistra. In questo modo avvalora la tesi secondo cui l’immagine è il frutto di una proiezione ottenuta con uno strumento  ottico.

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Michelangelo Merisi da Caravaggio, Bacco, 1595, olio su tela, 95×85 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi

Questa idea troverebbe un’ulteriore conferma nel dipinto “La cena di  Emmaus” in cui la mano destra del discepolo Cleofa appare più  grande rispetto alla sinistra. Questo errore visuale proverebbe l’uso di una  camera oscura da parte dell’artista.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Cena in Emmaus, 1602, olio su tela, 141×196,2 cm, Londra, National Gallery

Il pittore e fotografo David Hockney spiega questa anomalia della mano come “una conseguenza dei movimenti di lente e tela durante la rimessa a fuoco, a causa di problemi di profondità  di campo” evidenziando in tal modo che Caravaggio avesse a disposizione una camera oscura naturale e una lente.

Vernici e colori speciali

Le analisi condotte da Roberta Lapucci hanno rilevato in molti quadri del Caravaggio la diffusa presenza di sostanze fluorescenti, in particolare di sali di  mercurio.

La sua ipotesi è che il pittore, dovendo disegnare in una camera  priva di luce, usasse spalmare sulla tela dei sali di mercurio, la cui  fluorescenza poteva garantirgli di vedere dove tracciare i segni.

Caravaggio potrebbe aver ottenuto questa polvere magica da lucciole schiacciate, riprendendo la tecnica utilizzata nelle produzioni teatrali per creare effetti speciali.

Il 1500, un secolo decisivo per la fotografia

Anche se ci sono molte evidenze ben più antiche sulla conoscenza del fenomeno ottico della camera oscura, nel  XVI secolo gli italiani fecero passi da gigante nello sviluppo di quella che sarebbe diventata la moderna macchina  fotografica.

Tra gli intellettuali del tempo, il filosofo Giovanni  Battista Della Porta, in un volume del 1584, scrisse della camera dando consigli agli artisti su come usare le sue invenzioni, dalla realizzazione di copie accurate all’esecuzione di ritratti somiglianti.

Secondo Hockney, c’è un legame tra Caravaggio e questi scritti.

Questa teoria trova fondamento sul piano cronologico e nella fitta rete di conoscenze che lo avrebbero messo al corrente delle opere che proponevano l’uso della camera oscura ai pittori, circondandolo di persone che si  intendevano di ottica o che stavano studiando l’argomento.

Al di là dei numerosi studi che dimostrano più o meno esaustivamente quanto  Caravaggio fosse a conoscenza di questi ausili tecnici, si può comunque affermare la sua indiscussa genialità e modernità.

Infatti, come ricorda Roberta Lapucci “è evidente che non basta proiettare delle immagini su una tela e ricopiarle, per diventare Caravaggio”.


Margherita da Bologna

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